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Incapaci di scegliere? Viaggio nella psicologia dell’indecisione

Ti è mai capitato di restare paralizzato davanti a un menu troppo ricco di opzioni? O di rimandare una decisione importante perché ti sembra impossibile capire quale sia la strada giusta? Non sei solo: la difficoltà di scegliere è un fenomeno universale che la psicologia e le neuroscienze hanno ampiamente studiato. Il cervello che sceglie Quando dobbiamo prendere una decisione, il nostro cervello si attiva in modo complesso. La corteccia prefrontale, situata nella parte anteriore del cervello, è la protagonista principale: questa regione è responsabile del ragionamento, della pianificazione e della valutazione delle conseguenze. Poi c’è l’amigdala, che aggiunge la componente emotiva alle nostre decisioni, mentre lo striato ventrale è coinvolto nell’anticipazione della ricompensa. È come se, per ogni scelta, si attivasse un’intera orchestra neurale. Il paradosso della scelta Uno degli esperimenti più celebri sul tema è quello condotto nel 2000 dagli psicologi Sheena Iyengar e Mark Lepper, noto come “il paradosso della scelta”. I ricercatori allestirono un banco di degustazione di marmellate in un supermercato, alternando un’esposizione con 24 varietà e una con solo 6. I risultati furono sorprendenti: mentre il banco con più opzioni attirava più visitatori, quello con meno varietà generava dieci volte più acquisti. La conclusione? Troppe opzioni ci paralizzano invece di liberarci. Questo fenomeno, che gli psicologi chiamano “sovraccarico cognitivo”, ci porta spesso all’inazione o a decisioni affrettate per sfuggire al disagio della scelta. Il costo della decisione Daniel Kahneman, Premio Nobel per l’economia, ha dimostrato con i suoi esperimenti che le nostre decisioni sono spesso guidate da scorciatoie mentali (euristiche) che possono portarci a errori sistematici. Ad esempio, tendiamo a dare più peso alle perdite potenziali che ai guadagni (avversione alla perdita) e siamo fortemente influenzati dal modo in cui le opzioni ci vengono presentate (effetto framing). Un altro fattore rilevante è la “fatica decisionale”. Numerosi studi hanno dimostrato come il cervello, quando è  affaticato da continue decisioni, tenda a scegliere l’opzione di default o quella che richiede meno sforzo. L’emozione che decide: gli studi di Damasio Antonio Damasio, nel suo celebre libro “L’errore di Cartesio”, ha rivoluzionato il modo in cui comprendiamo il ruolo delle emozioni nelle decisioni. Studiando pazienti con danni alla corteccia prefrontale ventromediale, Damasio notò qualcosa di sorprendente: pur mantenendo intatte le capacità logiche e cognitive, questi pazienti diventavano incapaci di prendere decisioni efficaci nella vita quotidiana. Nasce così l’ipotesi del “marcatore somatico”: le emozioni, tradotte in sensazioni corporee (somatiche), “marcano” le varie opzioni aiutandoci a scartare rapidamente quelle sfavorevoli. Non è un caso che diciamo di “sentire con la pancia” che una scelta è giusta o sbagliata.  Senza questi segnali emotivi, il processo decisionale diventa estremamente faticoso e inefficiente, come se dovessimo calcolare pro e contro di ogni minima scelta. Le emozioni non sono quindi un ostacolo alla razionalità, ma una componente essenziale per decisioni efficaci e adattive. Il dolore della rinuncia: osservazioni dalla pratica clinica Nella mia pratica quotidiana come psicologa, osservo frequentemente un fenomeno particolare: molte persone faticano a scegliere non tanto per l’incertezza sul valore dell’opzione selezionata, quanto per l’eccessiva attenzione rivolta a ciò a cui devono rinunciare. Ogni scelta comporta inevitabilmente una rinuncia. Scegliere un percorso significa abbandonarne un altro, e questa consapevolezza può risultare paralizzante. I pazienti spesso raccontano di sentirsi bloccati non perché non sappiano cosa vogliono, ma perché temono il rimpianto per ciò che lasciano andare. Questo fenomeno è collegato a ciò che gli psicologi chiamano “costo opportunità”: la percezione della perdita di valore associata alle alternative non scelte. La nostra mente tende a idealizzare le strade non percorse, accentuando la sensazione di perdita e rendendo più difficile il processo decisionale. Nel percorso terapeutico, lavoriamo proprio sulla capacità di accettare che ogni scelta comporta una rinuncia, spostando l’attenzione dal “cosa perdo” al “cosa guadagno”, aiutando la persona a costruire una narrazione positiva della propria decisione. L’asino di Buridano: quando l’indecisione diventa fatale Un antico paradosso filosofico, attribuito a Jean Buridan, filosofo del XIV secolo, illustra perfettamente le conseguenze estreme dell’indecisione. Il paradosso racconta di un asino che si trova esattamente a metà strada tra due mucchi di fieno. Poiché entrambi i mucchi sono perfettamente uguali, l’asino non ha alcuna ragione razionale per preferire un mucchio all’altro. La conseguenza paradossale è che, essendo incapace di decidere quale mucchio scegliere, l’asino rimarrebbe paralizzato dall’indecisione e finirebbe per morire di fame. Questo paradosso, nella sua semplicità, cattura l’essenza del dilemma decisionale umano: a volte la ricerca della scelta “perfetta” o “ottimale” può condurci all’immobilità. 

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Manager sotto stress? Il biofeedback migliora il processo decisionale

La capacità di prendere decisioni importanti sotto stress rappresenta una competenza fondamentale per i manager di alto livello. Un recente studio pubblicato su Nature   dimostra come l’allenamento all’autoregolazione attraverso tecniche di biofeedback possa migliorare significativamente questa capacità. Lo studio, condotto da Iodice e colleghi, parte da un presupposto fondamentale: lo stress influenza negativamente i processi decisionali, spingendo verso scelte più impulsive e meno razionali. In situazioni di pressione, i manager tendono a restringere la loro attenzione, aumentare la distrazione e allungare i tempi di reazione, compromettendo la qualità delle decisioni prese. La ricerca ha coinvolto 23 manager divisi in due gruppi: uno sperimentale, sottoposto a un protocollo di training basato su test di valutazione dello stress tramite segnali di biofeedback (temperatura e conduttanza cutanea), e uno di controllo. Tutti i partecipanti hanno eseguito due compiti decisionali prima e dopo la fase di addestramento, utilizzando un software di tracciamento del mouse per misurare parametri espliciti e impliciti delle loro scelte. I risultati dimostrano che l’addestramento biofeedback aumenta significativamente la capacità di autoregolazione dei fenomeni psicofisiologici legati allo stress. Questa migliore gestione delle reazioni allo stress consente di ridurre i comportamenti istintivi durante compiti di scelta probabilistica e temporale. Lo studio conferma quanto già teorizzato da Janis e Mann nel 1977: avere un modello di coping basato sulla vigilanza permette di prendere decisioni razionali anche sotto stress. Al contrario, l’ipervigilanza – che può sostituire la vigilanza in condizioni di stress – genera una valutazione frettolosa, disorganizzata e incompleta delle informazioni, portando a decisioni errate. Dal punto di vista psicofisiologico, l’autoregolazione si riferisce alla capacità di una persona di regolare stati affettivi e cognitivi adattandosi a diverse condizioni ambientali, mantenendo un’omeostasi flessibile. Quando lo stress entra in gioco, questo equilibrio viene alterato e la capacità di fare scelte razionali diminuisce progressivamente. Lo studio evidenzia come le capacità di autoregolazione in situazioni stressanti possano essere insegnate attraverso apparecchiature in grado di fornire feedback visivi e acustici sui pattern neurali e fisiologici (biofeedback). L’importanza di questa ricerca risiede nella sua applicazione pratica: fornire ai manager strumenti concreti per migliorare la loro capacità decisionale sotto pressione. Questo approccio potrebbe trasformare il modo in cui le aziende preparano i loro leader ad affrontare le sfide quotidiane del business contemporaneo, caratterizzate da tempo limitato, sovraccarico informativo e interazioni interpersonali complesse. Foto di Zan Lazarevic su Unsplash

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Le Onde Cerebrali: il ritmo del nostro Cervello

Il nostro cervello è composto da miliardi di cellule chiamate neuroni, che lavorano costantemente per permetterci di pensare, sentire, muoverci e vivere. I neuroni comunicano tra loro attraverso piccoli impulsi elettrici, un po’ come se nel nostro cervello ci fosse una gigantesca rete di minuscole lucine che si accendono e si spengono in continuazione. Quando milioni di neuroni comunicano insieme, creano dei “ritmi elettrici” che chiamiamo onde cerebrali. Il pattern delle onde cerebrali è unico per ogni individuo e ci può fornire alcune preziose informazioni sul funzionamento del nostro cervello. Onde Delta Sono le onde più lente e si manifestano principalmente durante il sonno profondo.  Onde Theta Si osservano durante stati di profondo rilassamento, meditazione e nelle fasi iniziali del sonno. Sono associate anche alla memoria, all’apprendimento e all’elaborazione emotiva.  Onde Alpha Predominanti in stati di rilassamento vigile, riflettono uno stato mentale calmo ma attento, facilitando la creatività e riducendo lo stress.  Onde Beta Caratterizzano lo stato di veglia attiv. Si suddividono in sottogruppi, indicativi di attività cognitive e stati emotivi. Onde Gamma Le più veloci, associate a stati di massima concentrazione, apprendimento, elaborazione di informazioni complesse e stati di coscienza elevati. Allenare le Onde Cerebrali si può Il Neurofeedback è una tecnica che permette proprio di “allenare” specifici pattern di onde cerebrali. Esiste una corrispondenza diretta tra stati mentali ed emotivi e attività cerebrale. Quando siamo ansiosi, ad esempio, possiamo osservare un eccesso di onde Beta alte. Tramite il neurofeedback favoriamo la produzione di onde ottimali a seconda della problematica riscontrata. Progettare un training di Neurofeedback è un processo personalizzato che tiene conto delle caratteristiche della singola persona, della sua storia, delle sue esperienze e della sintomatologia presentata. Foto di Bhautik Patel su Unsplash

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Anatomia dell’ansia: come il tuo corpo reagisce e come riprenderne il controllo

L’ansia non è solo un’esperienza psicologica, ma un fenomeno che coinvolge profondamente il nostro corpo attraverso una serie di reazioni fisiologiche ben definite. Comprendere questi meccanismi è fondamentale: la consapevolezza dei processi non solo psicologici ma anche fisiologici dell’ansia, rappresenta il primo passo verso una gestione efficace di questo complesso fenomeno.. La risposta “fight or flight” Quando proviamo ansia, il nostro corpo attiva la risposta “fight or flight” (combatti o fuggi), un meccanismo evolutivo antico che ci prepara ad affrontare una minaccia. Questo processo inizia nel sistema nervoso autonomo e coinvolge, da una parte, il sistema nervoso simpatico, che si attiva per preparare il corpo all’azione, dall’altra l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, che regola la produzione di ormoni dello stress.Durante questo stato di allerta, il corpo, infatti, rilascia adrenalina e noradrenalina, che accelerano il battito cardiaco, aumentano la pressione sanguigna e indirizzano il sangue verso i muscoli, e cortisolo, che migliora il metabolismo e prepara il corpo a rispondere allo stress. Modificazioni corporee durante l’ansia Sistema cardiovascolareQuando l’ansia ti assale, il tuo cuore inizia a battere più velocemente e la tua pressione arteriosa aumenta. Potresti avvertire palpitazioni intense o una sensazione di oppressione al petto che può spaventarti, ma sono reazioni naturali del tuo corpo che si prepara ad affrontare quello che percepisce come un pericolo, anche se spesso il pericolo è solo immaginato e non reale.Sistema respiratorioCon l’ansia, il tuo respiro diventa più rapido e superficiale. Potresti iniziare a iperventilare senza rendertene conto, causando vertigini e formicolii alle estremità. Quella sensazione di non riuscire a prendere abbastanza aria o di soffocare è comune, ma è importante che tu sappia che è un effetto dell’ansia sul tuo corpo.Sistema digestivoDurante un episodio d’ansia, il tuo stomaco produce più acidi e la digestione rallenta. Potresti sentire nausea, crampi addominali o notare cambiamenti nelle tue abitudini intestinali. Il famoso “nodo allo stomaco” è proprio una manifestazione fisica della tua ansia.Sistema muscolareQuando sei ansioso, i tuoi muscoli si tendono come se si preparassero all’azione. Potresti notare tremori nelle mani o in altre parti del corpo, e alla fine della giornata ti sentirai più stanco del solito a causa della tensione muscolare costante che hai mantenuto.Sistema endocrinoL’ansia può alterare il tuo equilibrio ormonale, influenzando il metabolismo e cambiando il tuo rapporto con il cibo: potresti non avere fame o, al contrario, mangiare di più. Anche il tuo sonno ne risente, rendendo difficile addormentarti o causando risvegli notturni.Quando l’ansia diventa cronica, l’esposizione prolungata a questi cambiamenti fisiologici può avere impatti seri sulla nostra salute e sul nostro benessere. Il mio approccio integrato alla gestione dell’ansia La consapevolezza dei processi non solo psicologici ma anche fisiologici dell’ansia rappresenta il primo passo verso una gestione efficace di questo disturbo complesso fenomeno.Nel mio lavoro, adotto un approccio integrato che interviene sia sul piano psicologico che su quello fisiologico dell’ansia. La mia metodologia si basa sulla consapevolezza che mente e corpo sono interconnessi e che entrambi richiedono attenzione per una gestione efficace dei disturbi d’ansia.Sul piano cognitivo, lavoro con tecniche psicologiche mirate a identificare e modificare i pensieri e i comportamenti ansiogeni, aiutandoti a sviluppare strategie di coping più efficaci.Sul piano fisiologico, utilizzo il biofeedback, una tecnologia avanzata che permette di visualizzare in tempo reale i segnali fisiologici del tuo corpo. Grazie a sensori non invasivi, possiamo monitorare parametri come la frequenza cardiaca, la respirazione, la tensione muscolare e la conduttanza cutanea. Questo ti permette di osservare direttamente come l’ansia si manifesta nel tuo corpo e, attraverso un training specifico, imparare a modulare funzioni corporee che solitamente sono involontarie, acquisendo strumenti concreti per gestire l’ansia nel momento in cui si presenta.L’obiettivo è fornirti gli strumenti per riconoscere e gestire l’ansia in modo autonomo, intervenendo sia sui pensieri che la scatenano sia sulle reazioni fisiche che ne derivano. [Foto di Stefano Pollio su Unsplash]

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Lavorare sull’identità aziendale

Lavorare sul “chi siamo realmente” significa – nella mia esperienza – gettare buone fondamenta per qualunque progetto di comunicazione. Rendere esplicito ciò che spesso è implicito e dato per scontato, o semplicemente “respirato” quotidianamente da chi vive in quell’azienda, ha due vantaggi. In primo luogo, consente di portare all’esterno un’immagine che verrà poi avvalorata nel contatto con l’azienda. Un’immagine autentica e non fasulla. In secondo luogo, permette di evidenziare in concreto lo scostamento tra “ciò che siamo” e “come vogliamo apparire”, aprendo spazi strategici di evoluzione rispetto alla realtà. Sull’identità lavoro con una metodologia consolidata e che vedo funzionare sempre bene. Lavoro sia sul piano cognitivo che su quello emozionale, proprio per evitare alcune trappole che il nostro cervello è così abile a costruire quando “ce la raccontiamo”. E normalmente gli esiti sono sempre ricchi di spunti, oltre a rappresentare un buonissimo brief per chi dovrà sviluppare i prodotti di comunicazione.

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MARKETING4THERAPIST: il corso per far crescere la tua attività

Che tu sia una psicologa alle prime armi, una coach, un’operatrice olistica o un’osteopatia, sai quanto sia difficile far decollare la propria attività, allargare il proprio “pubblico”, farsi conoscere … Se ti trovi anche tu in questa situazione, ecco il corso che fa per te! Come: 4 incontri di gruppo in aula + 1 incontro one-to-oneQuando: on-demand (minimo 4 persone)Dove: a Milano, in Via Poliziano 4 oppure onlineCosa imparerai: niente lezioni teoriche. Ogni argomento che affronteremo sarà sviluppato in pratica, di modo che tu possa non solo imparare ma anche e soprattutto fare, costruendo, volta per volta, il tuo personalissimo piano d’azione. Il programma:• come costruire il proprio personal brand e come definire i propri obiettivi• quali strumenti utilizzare, online e offline, per parlare al tuo pubblico• come pianificare, step by step, fino all’obiettivo• il sito: tips&tricks per costruirne uno in maniera facile, veloce, economicaLa sessione singola: la pianificheremo in base alle rispettive agende. Saranno 2 ore tutte per te, per analizzare insieme quanto hai fatto, affrontare blocchi e sciogliere dubbi. Chi terrà il corso: io, perché ho uno studio avviato, tanti clienti e – oggi – ho deciso di mettere a disposizione quello che so e che ho imparato in tanti anni di lavoro!  

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JOB HELP – Riscrivere il CV

Cerchi lavoro o vorresti cambiare il tuo? Non hai chiari i tuoi obiettivi e non sai bene come muoverti, come riscrivere il tuo cv, come valorizzare la tua storia professionale e soprattutto i tuoi talenti? Questo Job Help è un piccolo laboratorio one-to-one: un incontro conoscitivo di mezz’ora + tre sessioni singole di un’ora ciascuna, a cadenza settimanale. In tre incontri non si fanno miracoli ma sicuramente è un buon inizio per imboccare la strada giusta.Per trovare il lavoro che ti piace, e non per cercare un lavoro qualunque. Lavoreremo per iniziare a:– definire il tuo obiettivo (prima sessione)– impostare gli elementi per (ri)scrivere il tuo cv (seconda sessione)– definire come muoverti (terza sessione) Concorderemo insieme tempi e modalità delle sessioni.

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RACCONTARE…RACCONTARSI…SCOPRIRE… LABORATORIO DI GIOCO NARRATIVO AUTOBIOGRAFICO

Raccontare di sé e della propria vita è un potente strumento di scoperta, di cura, di evoluzione personale. Dare parole alla propria storia, però, non sempre è facile. In questo lab ci trasformeremo in artisti di noi stessi ed esploreremo insieme altri linguaggi e nuove possibilità creative, per dare vita ad un racconto diverso e per trasformare la nostra vita in un libro d’artista. Quando: scrivimi per essere aggiornata sulle prossime edizioni

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Talenti al lavoro

Ci sono cose che ci vengono bene. Di più: ci sono cose che ci vengono bene e che facciamo con soddisfazione, con piacere e facilità, in modo naturale. Ancora, ci sono cose che ci vengono bene e che ci sono riconosciute anche dagli altri. Ecco, ci troviamo più o meno nel territorio dei talenti che ognuno di noi ha. Che ne siamo consapevoli o meno. Nel mio lavoro ho incontrato diverse persone che non sanno dire quali siano i loro talenti. Che alla domanda “Cosa sono veramente bravo a fare? ” non riescono a dare una risposta. Il che spesso si traduce nel non sapere cosa mettere nel proprio cv o nel fare un lavoro “sbagliato per noi”. Il Lab “Talenti al lavoro” conduce, da anni, le persone alla scoperta dei propri talenti. Quando: scrivimi per essere informata sulle prossime edizioni. On-demand: se siete un gruppetto di almeno 4 persone posso organizzarne uno solo per voi. Come: da un minimo di 4 a un massimo di 8 partecipanti.

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